Il difficile equilibrio delle pratiche sportive fra inclusione e discriminazione

    Il difficile equilibrio delle pratiche sportive fra inclusione e discriminazione

    Si è svolto martedì 22 novembre il convegno “Discriminazioni e violenze: la difficile vita degli atleti vulnerabili”, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Milano e dalla Fondazione forense.
    La scaletta degli interventi, lunga e articolata, ha visto la partecipazione di diverse figure professionali che operano in campo giuridico e/o in campo sportivo, direttamente e indirettamente.

    Il convegno ha restituito un quadro multiforme del mondo sportivo e delle sue pratiche, (amatoriali e professionali), presentate in maniera differente rispetto alla comunicazione e alla narrazione generica, nelle quali lo sport è slegato dal resto della vita, è un fatto neutro, privo di controversie e implicazioni di altro genere.
    Ricerche e studi di vario genere, invece, dimostrano come lo sport sia un veicolo che, incisivamente, struttura l’identità di ciascuno e ne dirige le interazioni sociali, soprattutto nei giovani e giovanissimi, per i quali le attività sportive divengono talvolta, agenti di socializzazione al pari dell’istituzione scolastica.

    Ettore Traini (Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Milano, Coordinatore della Commissione Diritto dello Sport ed eventi sportivi) che ha introdotto e moderato l’incontro, si è soffermato sui profili deontologici, ossia il comportamento degli avvocati nei processi sportivi in tema di discriminazione e violenza sui minori.
    A seguire, il concetto di discriminazione ha trovato spazio in altri interventi, sotto forma di sessismo, razzismo, libertà religiose offese e perfino in antiziganismo: odiosi atteggiamenti, tutt’altro che inconsueti che si consumano in luoghi differenti (campi sportivi, spogliatoi, spalti) coinvolgendo figure differenti, quali giocatori, tifosi, coach e dirigenti

    ChangeTheGame è un’associazione di volontariato che combatte ogni forma di violenza sessuale, emotiva e fisica, all’interno del contesto sportivo, proteggendo e sostenendo i bambini e le bambine e le loro famiglie, le donne atlete, tutti coloro che hanno subito abusi durante la loro carriera sportiva, accompagnandoli nel difficile percorso di denuncia davanti agli organi di giustizia ordinaria e sportiva. La fondatrice dell’associazione è Daniela Simonetti, giornalista e saggista. Con il suo intervento “Omertà nel mondo dello sport” , Simonetti ha condannato, apertis verbis, le responsabilità del mondo sportivo, l’omertà di fronte ad episodi di violenza, perpetrata soprattutto nei confronti di minori, vulnerabili e privi di tutela.
    Per squarciare il velo di omertà che avvolge le diverse pratiche sportive, la giornalista si augura che, anche in Italia si possa al più presto avere un organo giudicante ad hoc, come quello istituto negli Stati Uniti nel 2017, dopo le aberranti scoperte del caso Larry Nassar, medico-osteopata che nella sua carriera ha abusato di circa 500 atlete durante le sue sedute. “Non tutti i pedofili sono coach, ma tutti i pedofili vogliono essere coach”, suona quasi come un mantra, la frase mutuata dalla nuotatrice Nancy Hogshead-Makar, vittima di abusi sessuali, frase che Simonetti ripete a margine del proprio intervento, invitando tutti a fare il proprio ruolo, a denunciare ogni forma di violenza in difesa dei minori e dello sport.

    Di violenze e molestie poi, ne hanno parlato anche Harald Ege e Domenico Tambasco, psicologo forense il primo e avvocato il secondo. Lo sport molesto per Ege origina il cosiddetto straining, vero e proprio comportamento persecutorio, mentre Tambasco ha illustrato la Convenzione ILO del 2019 sulle molestie e violenze nel rapporto sportivo professionale.

    Ma si è discusso anche di azioni positive per contrastare le discriminazioni nello sport. L’avvocato Patrizia Pancanti ha illustrato azioni che possono avere un ambito di applicazione micro e macro. Su tutto, l’istituzione dell’Osservatorio Nazionale contro le discriminazioni nello sport, strumento di monitoraggio, ma anche di prevenzione, contrasto e sensibilizzazione ai temi discriminatori.
    Lo sport è anche inclusione. E lo sa bene Cristina De Tullio, campionessa negli Special Olimpics che, nel suo intervento, ha lanciato messaggi positivi e di incoraggiamento a lottare sempre con tutte le proprie forze.

    L’ultimo intervento, invece, è stato affidato all’avvocato Pier Antonio Rossetti che ha intervistato un atleta speciale, Simone Dessì, primo atleta italiano in carrozzina che il 14 ottobre scorso si è esibito presso la Monza Boxing Night. Già in quella occasione l’atleta piemontese aveva dato prova della sua determinazione, del suo coraggio, della sua resilienza. Costretto su una carrozzina all’età di 21 anni dopo un incidente di lavoro, Simone ha incantato i presenti con la sua storia, fatta di momenti bui (da ultimo la pandemia che lo ha isolato ulteriormente dal mondo esterno), ma anche di riscatto, riscatto che arriva dal potere salvifico della boxe, non a caso definita la “nobile arte”.

    “Tutto è cominciato quando su Youtube ho visto due ragazzi, uno tedesco e uno inglese, che combattevano in carrozzina sul ring ed erano davvero felici. A quel punto mi sono detto: ci provo, voglio essere felice anch’io. E pensare che sino a quel momento non avevo mai fatto sport!”. Da quel momento è stata tutta una risalita, l’allenamento in palestra, ma anche a casa, le esibizioni in tutta Italia e il “coronamento” nell’Arena di Monza il 14 ottobre scorso, nella stessa serata in cui il suo grande amico Alessio Lorusso diventava campione d’Europa dei pesi gallo.

    Manca solo un ultimo gradino per la “scalata verso il cielo”: l’introduzione di appositi regolamenti che permettano ai pugili speciali di competere e non solo di esibirsi, dando seguito alle dichiarazioni di quest’anno della Federazione Pugilistica Italiana.
    Sino ad arrivare al riconoscimento della disciplina come sport paralimpico.

    Sognare non costa nulla.

    Nella foto: Un momento del convegno al Palazzo di Giustizia di Milano

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